Di Luigi Rubinelli
L’ultima volta che incontrai Giampaolo Fabris di persona è stato alla fine di aprile del 2010. Era relatore a un convegno di Centromarca alla Bocconi. Mi chiese un attimo di attenzione, ci ritirammo in un corridoio e mi abbracciò forte: “E’ finita, Luigi, abbracciamoci”. Sapevo che stava male e avevo intuito in quell’abbraccio un addio.
Ho avuto la fortuna di lavorare con lui dal 1992 al 1994 come ricercatore alla Gpf, una società di ricerca sui cambiamenti sociali. Ho imparato da lui che a muovere i comportamenti e le scelte degli individui è una struttura latente, rappresentata dai valori che gli individui stessi condividono e che vengono espressi dalle marche che acquistano. Nel maggio del 1993 mi chiese di accompagnarlo presso una società finanziaria poco distante da piazza Cavour a Milano e di spiegare a quei dirigenti perché fosse stato introdotto in Italia il discount di Lidl. Avevo visitato in Germania con Selex sia Aldi che Lidl. Presentai loro lo sviluppo del discount a matrice tedesca. Erano scettici, perché pensavano a un negozio essenziale indirizzato soprattutto alle fasce più povere della popolazione. Rientrati in Gpf, Fabris volle approfondire e approfondire ancora questo nuovo concept, perché lui era così, voleva capire tutto e accettava i pareri altrui con intelligente umiltà. Alla fine convenimmo che il discount fosse un fenomeno interessante e da tenere monitorato nel tempo, in quanto formula commerciale in continuo mutamento. Cosa siano diventati oggi Lidl e Aldi non c’è bisogno di spiegarlo.
Il suo è sempre stato un approccio antropologico, di studio dei fenomeni di acquisto e di consumo, un approccio anch’esso in continuo cambiamento che si traduceva in un complesso prodotto chiamato 3SC. Moltissime le industrie di marca che lo acquistavano, mentre poco, molto poco, lo compravano i retailer.
Capite bene che recensire adesso ‘Società, consumi e pubblicità’ (il sottotitolo è: Il pensiero di Giampaolo Fabris) a cura di Maria Angela Polesana, edito da Franco Angeli, 18 euro ben spesi, mi mette un po’ in imbarazzo, perché la mia non può che essere una recensione partigiana: nel mio piccolo, su Mark Up prima e su RetailWatch poi, ho sempre cercato di applicare quel modello, alcune volte magari sbagliando, altre volte facendomi aiutare proprio da Giampaolo.
Mi piace ricordare anche come in una intervista proprio su Mark Up, nel 1997, Fabris coniò un paradigma interessante e attuale: “Il consumatore quando acquista, vota”. Riportammo lo stesso paradigma nel titolo della copertina del giornale a lui dedicata. La sua fu un’intuizione dirompente in quanto del tutto nuova a quel tempo: per la prima volta si parlava di “consumatore-cittadino”. In seguito molti consulenti, giornalisti, professori universitari hanno poi ripreso questo concetto.
Il ricordo delle intuizioni di Giampaolo Fabris è stato sviluppato da:
Francesco Alberoni,
Vanni Codeluppi,
Mauro Ferraresi,
Ariela Mortara,
Maria Angela Polesana,
Simona Segre Reinach.
L’introduzione è a cura di Maria Angela Polesana e di Vanni Codeluppi.
Sono tutti studiosi dell’evolversi della società italiana, ognuno di loro con una specializzazione, ma tutti sono convinti che Giampaolo Fabris abbia fatto luce sulle ricerche sociali, fondendone poi i risultati in ‘Societing, il marketing nella società post moderna’ di Egea del 2008, un volume ancora attuale per la visione d’insieme e per i particolari riportati sull’evoluzione dei consumi e degli stili di vita individuali e collettivi. Come ricorda Mauro Ferraresi il Societing, o marketing sociale, acquista ancor più rilevanza in quella che Fabris chiama società post crescita, la società che si configura dopo la crisi del 2008, in cui il mito della crescita si scontra con i grandi problemi ambientali e sociali e richiede un impegno attivo delle aziende a comportarsi eticamente e responsabilmente nei confronti della società, dell’uomo e dell’ambiente. Quanta lungimiranza.
Ariela Mortara evidenzia come ciò che distingue il consumo moderno dai modelli di consumo precedenti non è solo la crescita del potere di acquisto, ma soprattutto l’esperienza della scelta come fenomeno sociale generalizzato.
Maria Angela Polesana invece, nell’approfondire la prassi di Fabris, avvicina ai consumi anche la pubblicità, in quanto l’individuo-consumatore non è un recettore passivo dei messaggi pubblicitari, ma è al contrario impegnato nella negoziazione dei medesimi, perché riflettono lo Zeitgeist, lo spirito del tempo e i suoi valori.
Sul termine ‘valori’ mi permetto un inciso: le correnti socio-culturali individuate a suo tempo da Fabris e ben espresse nel 3SC, lo strumento principe di analisi della Gpf, sarebbero in buona parte da ristudiare, non tanto per il nome che portano, ma proprio per lo studio dei valori che contengono.
Simona Segre ha lavorato come antropologa culturale in Gpf e con lui ha lavorato negli anni ’80 sul concetto di made in Italy, un universo di aziende famigliari e molte volte artigiane. Sul concetto di artigianalità, ormai di moda.
Segre e Fabris hanno costruito un modello che dettava e detta legge ancor oggi.