Marco Pedroni (Adm) chiede una moratoria sugli aumenti al sell-in fino ad aprile 2023. La replica di Francesco Mutti (Centromarca): “Non risolve i problemi alla radice”.
Di Federico Robbe
Botta e risposta tra distribuzione e industria sui listini. La prima a scendere in campo è Adm (Associazione distribuzione moderna) che rappresenta l’85% della Gdo italiana (solo Penny tra i discount), con un giro d’affari di oltre 140 miliardi. “Siamo preoccupati a causa di un’inflazione che si avvicina pericolosamente al 13-14%”, spiega il 14 dicembre Marco Pedroni, presidente Adm, al Sole 24 Ore, “mentre le famiglie sono in difficoltà per la perdita di potere d’acquisto che pesa soprattutto sulla parte più debole della popolazione. Con i nuovi listini la maggioranza dei produttori applica gli aumenti intorno al 15% e così nell’arco di due anni, tra il 2022 e il 2023, si arriverà a un +40%”.
Secondo Pedroni, la situazione del 2022 è diversa rispetto a quella del 2021, e quindi anche i rapporti commerciali tra industria e distribuzione dovrebbero cambiare: “Le quotazioni di parecchie materie prime si sono raffreddate, per questo pensiamo che gli aumenti prospettati non siano coerenti con il nuovo corso e molte industrie, molti fornitori, nell’incertezza giocano d’anticipo aumentando i listini”.
Da qui la proposta di una moratoria: “Chiediamo di fermare gli aumenti per almeno i primi quattro mesi del 2023, verificando i trend della congiuntura internazionale che potrebbe raffreddarsi. Si dovrebbe anche aprire un tavolo di confronto tra industria e distribuzione per condividere un piano di azioni comuni per frenare l’inflazione studiando soluzioni ad hoc”, spiega Pedroni. Che sottolinea anche come la Gdo abbia assorbito una parte significativa degli aumenti concessi all’industria: “Quest’anno perderemo una quota importante di marginalità netta che per la Gdo al massimo arriva all’1,5-2%, mentre per l’industria è al 6-7%. Il crollo dei volumi porta ulteriori difficoltà al conto economico. Nelle ultime settimane c’è un calo dei pezzi venduti intorno all’8% e un primo abbassamento del valore del carrello della spesa”.
Pronta la risposta di Francesco Mutti, presidente di Centromarca (200 imprese associate). “Una moratoria dei prezzi non è possibile senza pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo”, commenta. Nota poi che il contesto è segnato da un “forte calo dei margini, con aumenti delle esposizioni e degli oneri finanziari”.
Continua Mutti: “Oggi grande parte degli aumenti grava sulle spalle dell’industria e di fronte a noi abbiamo una dinamica inflattiva che prosegue, anche se non con la stessa intensità registrata nel corso dell’ultimo biennio. Una ipotesi di moratoria rischia di non affrontare il problema dei rincari alla radice, a fronte di un beneficio molto temporaneo, ma scarica una parte del problema sulla filiera industriale. La dinamica inflattiva è legata all’energia e con il nuovo anno le aziende rischiano di non avere più il credito d’imposta per le spese sostenute per l’acquisto di energia elettrica e gas”.
Da un’indagine interna di Centromarca, per il 2022 risultano evidenti extracosti, trasferiti in misura compresa tra il 20 e il 50%; i margini sono in riduzione tra il 40 e il 70% e in alcune categorie si registrano perdite.
Fin qui il legittimo dibattito tra le parti in causa, o meglio tra gli ultimi due anelli di filiere lunghe e articolate. Dibattito che mostra alcune contraddizioni sul fronte Gdo (mentre i discount gongolano): l’appello a modificare aumenti già programmati sembra difficile da comprendere. Se c’è un accordo, si rispetta. E comunque la richiesta andrebbe declinata con precisione su particolari comparti in cui i costi sono sensibilmente diminuiti. E poi andrebbe precisato l’appello al coinvolgimento delle imprese in un “piano di azioni comuni per frenare l’inflazione studiando soluzioni ad hoc”, protagonista anche di una campagna stampa su Corriere, Repubblica e Sole di ieri. Il riferimento è alla riduzione dell’Iva sui beni essenziali? Agli aiuti alle famiglie? All’innalzamento di misure come il credito d’imposta per le spese energetiche? Ma la vera domanda è un’altra: quando si inizierà a ragionare come unica filiera?