di Angelo Frigerio
Limito di Pioltello (Mi) – La mail arriva dalla direzione commerciale di Esselunga ed è firmata da Eugenio Neri. I toni sono gentili e concilianti ma il contenuto è una doccia fredda, direi gelata, per i fornitori. L’inizio spiega il contesto in cui è maturata la decisione dei vertici della catena di bloccare gli aumenti dei listini: “Da oltre un anno ci troviamo ad operare in un contesto economico fortemente condizionato dalla spinta inflattiva. Tale congiuntura, già di per sè complessa, è stata ulteriormente aggravata dalla forte crisi energetica. Nel mese di novembre l’Istat ha registrato un aumento dei prezzi al consumo dell’11,8% con un incremento del carrello della spesa del 12,8%”. Questo ha comportato una contrazione dei volumi delle vendite sia nel settore food sia in quello non food. In questo scenario Esselunga non è stata a guardare: “Ci siamo impegnati a ritardare e rendere graduale il trasferimento degli aumenti subiti in fase di acquisto sui prezzi al consumo. Ci siamo assunti l’onere di questa operazione, i cui costi sono ricaduti interamente sulla nostra azienda, con benefici diretti per i nostri clienti e vantaggi per l’industria stessa”. Oggi però il contesto si è ulteriormente aggravato. Con prospettive fosche per il 2023. Da qui una decisione perentoria: “Allo stato attuale non possiamo più accogliere ulteriori aumenti di listini, in quanto rischierebbero di ricadere sui consumatori”. A questo punto la palla passa nel campo dei fornitori. Riusciranno a contenere i rincari dell’energia, dei materiali di confezionamento e delle materie prime senza aumentare i listini? La prospettiva, per alcuni, è di produrre in perdita. Con inevitabili conseguenze sia a livello industriale sia occupazionale.