L’amministratore delegato del Gruppo VéGé picchia duro sulla rilevazione, stilata dall’associazione, con la classifica dei supermercati più convenienti. Sotto accusa la metodologia, la rilevazione dei prezzi e il numero di insegne presenti. Ma anche il sigillo…

“La classifica dei supermercati più convenienti”, “Come risparmiare 3mila euro”, “Vuoi risparmiare sulla spesa? Ecco i supermercati più economici”. È solo una selezione delle decine e decine di titoli dedicati in questi giorni alla classifica di Altroconsumo. “Oltre 1.100 punti vendita visitati”, si legge sul sito dell’associazione, “più di 1,6 milioni di prezzi analizzati: la nostra annuale inchiesta sui supermercati dimostra che scegliere l’insegna o il punto vendita più economico dell’indagine permette di risparmiare grandi cifre, fino a 3.350 euro all’anno per una famiglia
di quattro persone andando nei discount
meno cari”. A ben vedere, però, sono diverse le criticità di una classifica definita “buffa” su Linkedin da un autorevole esponente del mondo retail come Giorgio Santambrogio, Ad del Gruppo VéGé.


Dottor Santambrogio, perché questa
definizione della classifica?
Mi pare abbastanza buffo che un’agenzia
che lavora per Altroconsumo possa fare una rilevazione di due settimane in marzo, o di un solo giorno per quanto riguarda i discount, e sentenziare quali sono i pdv e le insegne più convenienti di un anno intero.


Quali sono le altre problematiche
dell’indagine?
La principale è l’impossibilità di stabilire
l’esatto pricing. E sottolineo che l’attenzione degli imprenditori al pricing è massima, così come è massima l’attenzione al singolo bacino di utenza, con prezzi che variano da zona a zona. La capacità di rilevare i prezzi è il punto fondamentale per i retailer: ci sono agenzie che, quotidianamente, eseguono rilevazioni sul campo per capire quali sono i prezzi della concorrenza e fornire indicazioni agli imprenditori per regolarsi di conseguenza. Teniamo poi conto che con la diffusione sempre maggiore dell’electronic shelf label, andiamo verso un pricing sempre più dinamico.


Ovvero?

I retailer, a seconda della concorrenza,
della spendibilità del prodotto, dello stock che hanno in punto vendita, possono variare i prezzi anche nel corso della stessa giornata. Un cambio che avviene senza problemi, dato che le etichette elettroniche sono legate al sistema casse, poi è chiaro che non è un’operazione frequente. Di solito avviene su determinati prodotti e in circostanze particolari, come per esempio, ultimamente, la marcata diminuzione di prezzo di referenze a fine shelf life, per evitare lo spreco.


Come giudica la rappresentatività
delle insegne?
Questo è un altro punto dolente: mancano
centinaia di insegne che, per mille ragioni, non hanno permesso l’ingresso dei rilevatori o sono state tagliate fuori dalla ricerca. Ma ci sono altre criticità: nel corso dell’anno la numerica dei pdv delle catene cambia, e poi l’altro tema decisivo è che ormai il confine tra supermercati e discount è molto labile.


In che senso?

Ci sono formule ibride difficili da incasel
lare, perciò dividere le categorie in maniera così manichea è superato: poteva andare bene 20 anni fa. Oggi è tutto molto più fluido.


Nella metodologia della ricerca, Altro
consumo scrive di aver incluso le promozioni. È corretto?
È ovvio che le promozioni vengano rilevate,
ma nella loro metodologia non sono considerate le ‘communication in store’ come gli extra bollini dei prodotti sponsor o i QR code che permettono di risparmiare.


In sintesi, è una classifica un po’ sensa
zionalistica, con una metodologia datata e da rivedere…
Esatto. Ciò non toglie che da sempre io ho
ottimi rapporti con le associazioni di consumatori, ma quando viene pubblicata un’indagine poco attendibile bisogna dirlo a chiare lettere. Questa non è una classifica sulla qualità o convenienza di un singolo prodotto all’interno di una categoria, dove i margini di errore sono minori. Nel caso della distribuzione ci sono centinaia di migliaia di referenze ed è molto più difficile, se non impossibile, stila re una classifica. Quindi non ritengo corretto che Altroconsumo fornisca informazioni che potrebbero essere non giuste per i clienti. C’è poi il problema del sigillo…


Cioè?

Le insegne che a loro avviso risultano vin
centi possono comprare il logo che suggellerebbe la loro performance, che viene venduto da Altroconsumo. Rimango dell’idea che ci sia buona fede, intendiamoci: non posso neanche immaginare che ci sia un ‘mercato sommerso’ di questi sigilli. Mi rende un po’ perplesso che ci sia un logo acquistato con dei diritti di licenza d’uso – un logo che conta a livello di comunicazione – basato su una rilevazione che, come ho spiegato, non convince.