Cresce la domanda, ma manca la materia prima. E sui mercati internazionali i prezzi dei polimeri toccano i massimi storici. La bolla speculativa colpisce le imprese di trasformazione. Che ora lanciano un grido d’aiuto alle istituzioni. Ma anche all’industria e alla Grande distribuzione.
Di Federica Bartesaghi
La filiera mondiale della plastica è in crisi. E quella europea lo è ancora di più. Al boom della domanda legato all’emergenza sanitaria in corso si contrappongono infatti una mancanza generalizzata di materie prime, la nostra dipendenza dalle importazioni e i prezzi record raggiunti dai principali polimeri vergini. Una situazione drammatica per le aziende di trasformazione. Che denunciano un rischio concreto: quello di non essere più in grado, nel giro di pochi mesi, di garantire anche le forniture essenziali. Come nel caso dell’industria alimentare e farmaceutica.
Questi problemi riguardano, infatti, le principali plastiche vergini, quali il polipropilene (Pp) o il polietilene (Pe), ma anche materiali più specifici, ampiamente utilizzati per la produzione di plastica per imballaggi cosmetici, come alcuni ionomeri (Surlyn) o Abs (Acrilonitrile butadiene stirene).
“Una situazione che ha dell’incredibile e che ci coinvolge tutti”, sottolinea Luca Iazzolino, presidente Unionplast, l’associazione dei trasformatori italiani di materie plastiche, nel corso di un webinar dedicato all’argomento. Secondo Iazzolino, la fragilità dell’industria europea di settore non è mai stata così evidente. “Risultato”, aggiunge, “di una stagione di pesante deindustrializzazione chimica e petrolchimica”.
La grave situazione in cui versiamo è infatti ‘figlia’ di una serie di fattori, sia congiunturali sia strutturali. Tra i primi, il forte aumento della domanda registrato nell’ultimo trimestre del 2020 e nei primi mesi del 2021, complice l’emergenza sanitaria che ha riportato in auge le materie plastiche. Ma anche la scarsa disponibilità di polimeri, dovuta agli elevati prezzi del petrolio (+30% da inizio anno) e delle materie prime, che ha distorto il concetto di libera concorrenza aprendo la strada a una feroce speculazione. Nel giro di pochi mesi, i principali polimeri vergini hanno subito un incremento di prezzo compreso tra il 40 e il 70%. Ciliegina sulla torta la paralisi produttiva, a causa di condizioni metereologiche estreme, di decine di stabilimenti negli Stati Uniti, che riforniscono, oltre al mercato domestico, anche quelli d’esportazione. E proprio su questo punto si innescano le ragioni di natura più strutturale.
A causa della mancanza di impianti produttivi in territorio europeo, oggi siamo netti importatori di svariati materiali plastici per i quali paghiamo un dazio che va dal 6% in su. Inoltre, gli altissimi costi di trasporto e sdoganamento – ulteriormente aggravati dall’emergenza Covid – fanno sì che i grandi produttori mondiali preferiscano spedire la preziosa materia prima verso mete economicamente più ‘appetibili’, a cominciare dalla Cina, la cui macchina industriale è ripartita a pieno regime. Di conseguenza, le importazioni europee si sono ridotte all’osso.
“Stiamo assistendo a un’ondata di panico, per cui si ordina di più, a qualsiasi prezzo e condizione, per avere continuità di fornitura”, spiega il presidente di Unionplast. Anche perché, secondo le previsioni degli analisti, bisognerà aspettare mesi prima che i prezzi ritornino a livelli normali. Nel frattempo, l’80% delle imprese trasformatrici italiane si è già vista costretta a ridurre la produzione. “Le nostre aziende hanno, al momento, due enormi problemi”, sottolinea Iazzolino. “La reperibilità delle materie prime e la difficoltà nel trasferire a valle i fortissimi rincari. Con gravi ripercussioni sulla loro tenuta finanziaria”.
A tutto questo si somma la campagna mediatica di demonizzazione della plastica, fomentata dalle associazioni ambientaliste e supportata dalle istituzioni. La direttiva Sup contro le plastiche monouso, la plastic tax europea, gli aumenti dei contributi Conai e naturalmente la plastic tax nazionale: il settore della plastica è oggi il bersaglio preferito dei legislatori italiani e comunitari.
“Le aziende della plastica sono un patrimonio per l’Italia. Se non vengono in qualche modo tutelate, alla fine del 2021 la nostra struttura economica e sociale sarà devastata”, sottolinea nel corso dell’evento l’amministratore delegato di Virosac, Cesare Casagrande. “Inoltre, se continueranno questi incrementi, molte aziende non ce la faranno a continuare a produrre e rifornire gli scaffali della Gdo”. È dello stesso parere Renato Zelcher, Ad di Crocco e presidente di European Plastics Converters (Eupc), l’associazione dei trasformatori europei di materie plastiche: “Dobbiamo far capire ai clienti che gli aumenti di prezzo servono a cercare di limitare i danni, non a cavalcare la speculazione. Stiamo cercando di salvare la pelle, non fare soldi”.