Bum bum bum: con la newsletter di settimana scorsa abbiamo scoperchiato il classico vaso di Pandora. Tra venerdì 13 e sabato 14 si è infatti acceso il dibattito sulla richiesta di contributi ai fornitori da parte di una nota insegna. Nell’articolo riportavamo la telefonata ‘amichevole’ di un buyer che così colloquiava con un fornitore: “Siamo arrivati a fine anno. E la nostra catena ha compiuto delle operazioni finanziarie significative, con acquisizioni di vario genere e tipo. E si sa come vanno queste cose. Oltre al cash versato ci sono anche problemi oggettivi. Non tutti i punti vendita che abbiamo acquisito performano come avremmo voluto. Dobbiamo recuperare. E alla svelta. Entro fine anno devo portare a casa tot milioni di euro. Per questo ho bisogno di un aiutino. Considerando il fatturato della sua azienda direi che circa totmila euro ci posso- no stare”.

Il primo a rilanciare il ‘pacco’ di Natale è Luigi Rubinelli, giornalista e fondatore di Retailwatch: “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”, scrive sibillino su Twitter. Con tanto di hashtag #contributifineanno e #20%.

Risponde per le rime un ‘ignoto’ follower del giornalista (Fravan): “La calunnia è un venticello… (da ascoltare ne Il Barbiere di Siviglia…) so che ami accostare pezzi di musica classica…”. E Rubinelli risponde: “Insomma, calunnia… Non ci sono nomi… basta aspettare… E poi chi deve sapere sa… Buono l’accostamento di musica classica, fa parte della Storia, sempre ben voluta e sempre ben accetta”.

Scende nell’agone anche Giuseppe Caprotti, ex Ceo di Esselunga, notoriamente poco simpatetico nei confronti di un certo mondo Gd e Do. In un tweet al vetriolo scrive: “Deja vu: leader nazionale chiede contributi di fine anno ai fornitori. Senza vergogna?”. Tweet che non passa inosservato a Francesco Pugliese, amministratore delegato di Conad: “Fare nomi, non illazioni e perseguire. Attenti alle allusioni tendenziose”, sottolinea. A fronte della richiesta di fare nomi, Caprotti non può che scrivere: “Cito un articolo del sig. Frigerio, chiedete a lui”.

Arricchisce il dibattito anche Mario Gasbarrino, ex Ad di Unes e oggi alla guida di Decò Italia: “Ebbene sì, cose del genere le ho fatte e le ho fatte fare anche io, ma era 20 anni fa, ero giovane (e quindi meno saggio) e non c’era il Covid-19. Oggi forse, chiunque esso sia, non è il momento”. Sollecitato a chiarire meglio la sua esperienza, Gasbarrino spiega che si riferisce a “contributi promozionali a pioggia perché la patria (azienda) aveva bisogno di oro”.

Secondo Giancarlo Corona, consulente e attento analista del mondo retail, un’analoga pratica venne portata alla luce in Uk nel 2017 (tutto il mondo è paese…): “Fu istituita una commissione d’inchiesta parlamentare che ha sanzionato e ammonito pesantemente i Big four [Morrisons, Sainsbury’s, Tesco, Asda, ndr] e imponendo ulteriori misure per evitare ricarichi sul prezzo al consumatore”.

La voce delle aziende emerge grazie a un produttore impegnato in una cooperativa del settore olivicolo: “Ricordiamoci sempre che spesso i fornitori non sono solo aziende di proprietà di una sola famiglia, ma come nel nostro caso sono composte da migliaia di soci che lavorano duramente e, per la maggior parte delle volte, scarsamente ricompensate dal mercato”.

Altri utenti invocano l’intervento dell’Antitrust per fare chiarezza, sperando che si attivino al più presto indagini sulle pratiche sleali della Gdo. Ma non manca chi, candidamente, commenta tutta la faccenda così: “Tra le righe facilissimo comprendere di chi si tratti”.