Era il giugno 2008 e un giovane Frigerio cominciava a scrivere i suoi editoriali (a proposito, prima di Natale esce il libro) sulla rivista Salumi&Consumi. Uno dei primi s’intitolava: “I contributi della Distribuzione moderna, il danno e la beffa”. Raccontavo delle dinamiche di trattative e prezzi d’acquisto. Oltre all’intenso lavorio ai fianchi dei fornitori sul prezzo netto, i buyer, sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla Centrale, inventavano contributi che, di volta in volta, in funzione delle diverse esigenze, servivano per spillare soldi alle aziende.
Nel tempo, ne abbiamo viste di tutti i colori. Fra queste il ‘Contributo per l’informatizzazione del processo’, un meccanismo perverso introdotto da una catena per farsi pagare una riorganizzazione aziendale con un ingente stanziamento per l’acquisto di computer e programmi software gestionali.
Per non parlare del ‘Contributo di redditività’. In questo caso il solerte buyer invitava il fornitore, sempre con il sorriso sulle labbra, ad aiutare l’insegna, in difficoltà finanziarie: “Caro fornitore, quest’anno con noi hai avuto delle belle performance. Sai cosa ti diciamo? Se vuoi continuare, devi versare il 3% del tuo fatturato come contributo alla nostra azienda per aver aumentato la tua quota di mercato…”.
Non sono mancati poi, nel corso degli anni, il contributo testata di gondola, volantino, promozione Natale e Pasqua, tanto per fare qualche esempio. Pensavamo che con la pandemia e tutti i problemi che questa ha comportato, le catene si fossero dimenticate della ‘finanza creativa’. Invece no.
È di questi giorni la notizia che alcuni buyer di una nota insegna abbiano cominciato a batter cassa. La telefonata al fornitore è sempre quella: “Siamo arrivati a fine anno. E la nostra catena ha compiuto delle operazioni finanziarie significative, con acquisizioni di vario genere e tipo. E si sa come vanno queste cose. Oltre al cash versato ci sono anche problemi oggettivi. Non tutti i punti vendita che abbiamo acquisito performano come avremmo voluto. Dobbiamo recuperare. E alla svelta. Entro fine anno devo portare a casa tot milioni di euro. Per questo ho bisogno di un aiutino. Considerando il fatturato della sua azienda direi che circa totmila euro ci possono stare”. Una sorta di ‘pacco’ di Natale annunciato in anteprima.
Viene alla mente l’inizio de ‘I promessi sposi’ del Manzoni. Con i Bravi che fermano Don Abbondio. Di fronte alla richiesta di non celebrare il matrimonio fra Renzo e Lucia, il povero curato risponde: “Ma, signori miei, ma, signori miei, si degnino di mettersi ne’ miei panni. Se la cosa dipendesse da me… vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca…”. Mettete i Bravi al posto del buyer e il direttore commerciale nei panni di Don Abbondio e il gioco è fatto. Con un finale degno di nota: “Il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio”.
Ed è proprio questo il punto. Dietro la richiesta del contributo si nasconde il ricatto: “Vuoi continuare a lavorare con noi? Ecco, cerca di avere giudizio, paga e così poi potremo parlare del contratto per il prossimo anno”.
Per fortuna il caso è isolato. Appare veramente assurdo fare questo tipo di imposizioni in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo. Soprattutto per quelle aziende che lavorano anche con il mondo degli estetisti. In questo caso agli ordini che vengono a mancare si sommano le problematiche relative agli insoluti. I saloni estetici che avevano ripreso a lavorare durante l’estate e ricominciato a pagare le fatture dei mesi pre- cedenti, si sono improvvisamente, di nuovo, bloccati. Fermo il centro, fermi gli incassi, fermi i pagamenti ai fornitori.
Al di là del caso singolo, però, vale la pena generalizzare. È ora di finirla con questi giochetti finanziari di basso livello. Chiudiamola una volta per tutte. Definiamo un contributo attività promozionali che sia fissato una tantum per tutti. Come diceva Bud Spencer: “Altrimenti ci arrabbiamo…”. E giriamo tutto all’Antitrust.