Il Legislatore fa presto a sembrare generoso. Bonus di qua, credito d’imposta di là… poi, alla fine, c’è sempre la fregatura.
Parliamo del ‘Credito d’imposta per la sanificazione e l’acquisto di dispositivi di protezione’, previsto dall’Art. 125 del Decreto Legge 19 maggio 2020 n. 34 (Decreto Rilancio), convertito in Legge n. 77/20 lo scorso mese di luglio.
Dopo un lungo e travagliato iter (tanto per cambiare), il quadro normativo sembrava finalmente definito. Queste agevolazioni erano infatti già state introdotte con il Dl n. 18/2020 (Decreto Cura Italia), convertito dalla legge n. 27, e poi con il Dl n. 23/2020 (Decreto Liquidità).
Nell’Art. 125 si specifica: “Al fine di favorire l’adozione di misure dirette a contenere e contrastare la diffusione del virus Covid-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni, agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, spetta un credito d’imposta in misura pari al 60% delle spese sostenute nel 2020 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati, nonché per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti. Il credito d’imposta spetta fino a un massimo di 60mila euro per ciascun beneficiario, nel limite complessivo di 200 milioni di euro per l’anno 2020”. A seguire, l’elenco delle spese ammissibili al credito (sanificazione ambienti e strumenti di lavoro; acquisti di Dpi, tra cui mascherine, guanti, visiere, tute, a patto che siano conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea; termometri, termoscanner, tappeti e vaschette decontaminanti e igienizzanti, dispositivi per garantire la distanza sociale, come barriere e pannelli, e relative spese di installazione). Viene poi specificato che l’Agenzia delle entrate stabilirà criteri e modalità di applicazione e fruizione.
Questi contenuti vengono confermati proprio dall’Agenzia, con il provvedimento del 10 luglio, in cui si definisce anche che la domanda per l’agevolazione deve essere presentata fra il 20 luglio e il 7 settembre 2020. Si ribadisce inoltre che “il credito d’imposta, per ciascun beneficiario, è pari al 60% delle spese complessive […] e non può eccedere il limite di 60mila euro”. Il punto successivo (5.4), però, nasconde per bene una gabola: “Ai fini del rispetto del limite di spesa, l’ammontare massimo del credito d’imposta fruibile è pari al credito d’imposta richiesto moltiplicato per la percentuale resa nota con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro l’11 settembre 2020. Detta percentuale è ottenuta rapportando il limite complessivo di spesa, di cui all’articolo 125, comma 1, ultimo periodo, del decreto-legge n. 34 del 2020, all’ammontare complessivo dei crediti d’imposta richiesti”.
Di fronte a un possibile rimborso del 60% sulle spese di sanificazione – in un periodo complicato come quello della pandemia di Covid-19 e con la possibilità di cedere il credito d’imposta ad altri soggetti (compresi istituti di credito e intermediari finanziari) – numerose aziende si sono fatte avanti. Senza sapere che, proprio in extremis, l’11 settembre, l’Agenzia delle entrate avrebbe ‘determinato’ la nuova percentuale di fruizione. Il termine ‘determinato’ è un eufemismo in sostituzione di ‘drasticamente tagliato’. Non si parla infatti di noccioline, ma di oltre 44 punti percentuali. Il 60% diventa un misero 15,6423%. Riportiamo, ci sembra doveroso, la percentuale per esteso, per non sminuirla troppo. Tanto a ridurre ulteriormente la quota ci ha pensato l’Agenzia delle entrate, visto che le prime aziende che hanno ricevuto il rimborso, a metà settembre, si sono viste riconoscere circa il 10%, non di più.